Chi siamo

Il Comitato Storico di Scalenghe è nato nella primavera del 2009 per iniziativa di alcune persone che amano questo territorio e vogliono studiare, cercare, approfondire, insomma dedicarsi a trovare le loro tracce storiche che sono anche quelle di tutti.

Le persone che ne fanno parte sono animate dalla convinzione che la storia delle proprie radici è patrimonio di tutti e non ha alcun senso tenere per sé conoscenze che riguardano tutta una comunità.

Pertanto, il Comitato è aperto e disponibile ad accogliere informazioni documentate e materiale in genere, da parte di tutti quelli hanno qualcosa di utile o di interessante che riguardi la storia del nostro Comune da far conoscere.


Un doveroso grazie lo esprimiamo ai parroci di Scalenghe che si sono succeduti negli anni passati e all'attuale, don Roberto Debernardi , per la disponibilità data ad accedere agli archivi parrocchiali.



comitatostoricoscalenghe@gmail.com

Scalenghe - Scheda storica della Regione Piemonte

Toponimo storico: Scelenga (1037), Calenges, Schelenga (1041), Scalingiis (1148), Skalengiarum (1243),
Scalengis (1229), Scalenghis (1235), Scalengiis (1356), Escalengiis (1377).
Origine: Il territorio è citato in una carta di Landolfo del 1037.
Feudo: Piossasco Folgore, con titolo di contea dal 1416
Catasti: 1400 “in lingua gottica”; 1610; 1634; 1667; 1739

Scalenghe
Il toponimo si trova nell’atto di fondazione dell’abbazia di Cavour del vescovo Landolfo (1037): essa viene tra l’altro dotata di “curticellam unam inter Circinascum et Scelengam”; varianti del toponimo si trovano in molti documenti dal 1041 al 1377. La forma è di origine germanica, il che fa pensare ad uno stanziamento longobardo. Tra XI e XII secolo molti sono i diritti del vescovado di Torino su Scalenghe; si aggiungono
poi le terre sotto il controllo dell’abbazia di Cavour e quelle sottoposte a S.Solutore di Torino. Il signore di Castagnole ha in questo periodo la piena signoria su parecchi benefici in Airasca, Piobesi, Cercenasco e anche Scalenghe; in quest’ultimo ha diritto di fodro e decima. La chiesa di Scalenghe nel 1143 e
successivamente nel 1165 viene confermata alla Prevostura di Oulx.
Nella prima metà del ‘200 si ha notizia di usurpazioni da parte di Gualfredo e Ottone Folgore di terre dell’Ospedale, di cui è proprietario l’ordine gerosolimitano di S. Giovanni. Nel 1222 i Piossasco Folgore subentrano ai signori di Castagnole e nel 1223 essi detengono la piena signoria: in questo periodo risulta
esserci un castello fortificato. Nel 1243 Ottone Folgore dona la sua parte a Tomaso Savoia e ne viene investito; nel documento si specifica l’entità del feudo: si tratta dei tre quarti del territorio con il castello, la corte, la villa, il distretto, la giurisdizione sugli abitanti, il mero misto imperio, la signoria, i diritti su pascoli, acque, forni, battitoi, i fitti, i banni, le taglie, le decime e i pedaggi.
Nel 1269 la famiglia Folgore ammette le usurpazioni e le spoliazioni passate e dispone la restituzione all’ordine gerosolimitano di un quarto di castello, villa e territorio di Scalenghe. Nel 1283 c’è una nuova sentenza arbitrale che regolamenta le restituzioni.
A fine ‘200 gli abitanti di Scalenghe, riunitisi in leghe con quelli di Castagnole e Piossasco, danno luogo ad una forma primordiale di comune ottenendo poi nel 1283 i loro primi Statuti.
I rapporti dei Folgore con i Savoia alternano periodi di fedeltà a periodi di alleanza con i nemici sabaudi. In occasione della guerra tra Acaia, dominatori del pinerolese dal 1295, e i Savoia essi si stringono intorno al conte verde: nel 1360 Giacomo d’Acaia viene spogliato dei suoi territori e tra le famiglie che ottengono nuove investiture dai Savoia compaiono anche i Folgore. Quando nel 1363 gli Acaia vengono reintegrati
anche le investiture sono rinnovate. Scalenghe e il suo territorio vivono anni di scorrerie e assalti armati da
parte delle compagnie di ventura al soldo di Filippo d’Acaia: viene chiesta la protezione ai Savoia che nuovamente infeudano Scalenghe ai Folgore.
Un periodo di relativa pace si conclude alla morte di Amedeo VI nel 1383: è del 1395 un documento che invita i signori a fortificare il castello. Nel 1416 il feudo di Scalenghe è eretto a contea.
Nel XV secolo, estinti gli Acaia, diventano conflittuali i rapporti tra i feudatari e la comunità; essa ha costruito la propria organizzazione interna guardando alla vicina Vigone (la sua influenza si nota anche nei precoci Statuti di Scalenghe).
Durante la prima invasione francese Scalenghe è in balia delle razzie delle soldatesche e solo con il ritorno di Emanuele Filiberto si apre un breve periodo di ripresa, in cui le campagne tornano a popolarsi. La crisi si ripresenta a fine secolo: nel 1595 il borgo è saccheggiato dal generale Lesdiguiére; dal 1599 imperversa la peste. In questo stesso periodo viene a mancare sul territorio la buona influenza del monastero certosino femminile di Buonluogo, fondato nel XIII secolo sul limite settentrionale di Scalenghe e riccamente dotato di terre dai Piossasco Folgore.
Nel XVII e XVIII secolo la comunità è impegnata più volte in contenziosi con l’ordine di Malta: nel 1609 viene conteso un bosco, detto Isoley, dipendente da Candiolo e dopo tre anni Scalenghe ne ottiene una parte dopo la misurazione. Nel 1755 oggetto di lite è una strada che porta a Piossasco passando accanto alla cascina dell’Ospedale di proprietà dell’ordine: la strada, detta “viassa”, Ë impercorribile a causa di alberi e
acque d’irrigazione convogliate sui campi limitrofi dai massari della cascina; i passanti in quel punto sono costretti a deviare passando sulla proprietà privata. Scalenghe con Cercenasco chiede il ripristino dell’agibilità stradale, mentre il rappresentante dell’ordine nega ogni addebito. Dopo il parere di un perito le parti arrivano ad un compromesso: anche in questa occasione la comunità riesce a spuntarla sul colosso
religioso.
Nel 1626 i Folgore concedono a Scalenghe l’affrancamento delle decime e inizia il loro allontanamento dalla comunità, che culmina nel trasferimento della loro residenza a Torino con il definitivo abbandono del castello.
Compreso nel mandamento di Vigone, il territorio nel 1741 consta di gerbidi, pascoli, boschi e alpi, prati “di cattiva qualità” e il suo reddito viene dal grano.
Nel 1833 gli abitanti di Scalenghe chiedono al comune di ripristinare il libero pascolo su alcuni terreni demaniali, ove sorgono anche i maceratoi di canapa, occupati da privati: la richiesta viene rigettata e i gerbidi venduti dopo aver chiuso i maceratoi giudicati dannosi alla salute. A distanza di un secolo nel 1929, viene accertata l’usurpazione del demanio e si procede alla legittimazione dietro pagamento di una somma
d’acquisto. Nel 1849 anche Scalenghe è coinvolta nella richiesta di aggregazione di alcune sue borgate (Bruera, Margari, Gabellieri) al comune di Piscina.
Bibliografia:G.CASALIS, Dizionario geografico storico statistico commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna, Torino 1833-1863, vol.19.G.STEFANI, Dizionario corografico universale dell'Italia sistematicamente suddiviso secondo l'attuale partizione politica di ogni singolo stato italiano, vol.II, parte 1, stati sardi di terraferma, Milano 1854.A.GROSSI, Corografia della città e provincia di Pinerolo,Torino 1800.ZUCCAGNI-ORLANDINI, Dizionario topografico dei comuni compresi entro i confini naturali dell'Italia, 1861.G.L.DE BARTOLOMEIS, Notizie topografiche e statistiche sugli stati sardi, Torino 1843.D.OLIVIERI, Dizionario di toponomastica piemontese, Brescia 1965.A.A.V.V., Dizionario di toponomastica, UTET,Torino 1990.F.GUASCO DI BISIO, Dizionario feudale degli antichi stati sardi e della Lombardia (dall'epoca carolingiaai nostri tempi) (774-1909), Pinerolo 1911, vol.IV.A.ROSSETTI, Sul cambiamenrto proposto alla circoscrizione territoriale dei comuni di Airasca, Scalenghe e Piscina. Torino 1881.

Cosa stiamo facendo...

Scalenghe è un paese particolare, in molte cose differente da quelli limitrofi e dove la Storia ha lasciato dei segni importanti, anche se a volte si fa fatica a vederli. Tanto per cominciare è particolare la sua struttura, costituita da due centri abitati Scalenghe e Pieve che nel tempo si sono un po’ contesi il primato l’uno sull’altro, dando vita a numerose e non sempre tranquille dispute (a questo proposito non ne vogliano gli attuali abitanti delle altre frazioni, Viotto, Murisenghi e Bicocca, ma la loro importanza storica è decisamente inferiore a quella dei due centri principali). Situazione che ha dato origine a ben due parrocchie, una antichissima, l’altra meno, ma altrettanto importante. Poi vi è la presenza di due notevoli chiese: l’una, quella di S. Caterina è uno dei rari esempi rimasti nel pinerolese di architettura tardo-gotica; l’altra quella di S. Maria Assunta è uno dei migliori esempi di barocco piemontese del ‘700.
E’ però abbastanza noto che se in merito alla storia e alle vicende di S. Maria Assunta si hanno abbondanti notizie, riguardo a S. Caterina poco si conosce e poco si conosce anche in merito alla storia generale del paese.
Ed è proprio da qui che si è voluto partire, cioè dal desiderio di ricostruire la Storia, da qualsiasi parte essa provenga.
Siamo allora partiti dal luogo che oggi conserva il maggior numero di documenti del nostro paese e cioè l’archivio della parrocchia di Pieve, dove si riteneva di trovare materiale di vario genere e non esclusivamente legato alla parrocchia di S. Maria Assunta.
Sono così trascorse numerose sere dell’estate ad esaminare, leggere e suddividere l’abbondante materiale. Naturalmente durante la ricerca sono venuti alla luce numerosissimi e interessanti documenti che come avevamo immaginato toccavano i più vari aspetti della nostra storia. Citandone alcuni ecco così riapparire i sempre emozionanti documenti della ricostruzione settecentesca della chiesa di S. Maria Assunta, quelli relativi alla costruzione della ferrovia, questioni varie della parrocchia, l’ampliamento della chiesa, l’ipotesi di divisione amministrativa del Comune di Scalenghe, le commoventi lettere dei soldati al fronte nella II guerra mondiale e, naturalmente le questioni, lunghe e complesse che hanno portato nel 1825 alla divisione della parrocchia.I documenti estrapolati sono stati molti, (direi moltissimi) ora è iniziato il lungo e paziente lavoro di fotografatura, lettura e trascrizione a computer di tutto il materiale, al fine di poterlo analizzare e studiare. I lavori sono in corso.

Candido Bottin

Livio Amparore

Walter Bronca

venerdì 20 novembre 2009


Durante le ore dedicate alla ricerca in rete di testimonianze e documenti facenti riferimento al nostro Comune, mi sono imbattuto in una cronaca del 1855 che riguarda il tragico accadimento che ebbe luogo a Pieve di Scalenghe nelle Cascina Sibilla, ora affermata Azienda Agrituristica.
I nostri anziani ancora ci raccontavano dell’avvelenamento da funghi che portò alla morte nella loro residenza estiva, l’intera famiglia del Conte Brunetta di Usseux e che qualcuno di questi era stato sepolto nel nostro cimitero a Pieve (successivamente traslato).
Pochi altri particolari si conoscevano se non gli atti di morte di alcuni di essi presenti negli archivi comunali, .
Riporto la seguente relazione tratta da una rivista accademica che descrive in modo particolareggiato quanto avvenne in quei giorni di Settembre del 1855.

Giornale delle scienze mediche, Volumi 34-36

Di R. Accademia medico-Chirurica di Torino

"DEMARCHI: Allo scopo di rischiarare la questione che si sta discutendo credo utile di riferire il seguente caso d'avvelenamento e morte cagionala da funghi. Alla Sibilla, casa di campagna del conte Brunetta di Usseaux, presso Pieve di Scalenghe , mandamento di Vigone, provincia di Pinerolo , avvenne un fatto che, mentre fu cagione di lutto, e di somma desolazione in tre famiglie, deve servire di avvertimento e di ammaestramento ad ogni ceto di persone.
Nel venerdì 28 del mese di settembre (anno 1855) una cameriera della famiglia Brunetta , passeggiando lungo un viale vicino alla casa, osservò parecchi funghi vegetanti fra cespugli. Ne colse alcuni e li portò alla cuoca, onde sapere se fossero di buona qualità.
La cuoca senza esitazione disse di si, ed eccitò la cameriera a cercarne altri,
onde farne un piatto da tavola.
La cameriera in breve tempo ne raccolse una sufficiente quantità, onde appagare il desiderio manifestatole dalla cuoca, che avea nome di assai esperta nell'arte sua.
Il giardiniere di casa avvertì la cameriera e la cuoca, che quei tali funghi non erano mangerecci, che da tutti erano sprezzati, e temuti, dicendo loro ancora che si chiamavano volgarmente pisciacani.
Ma la cuoca, guidata dal triste fato , persistette nella sua opinione, e li cucinò senza alcuna lavatura, a danno suo, e di altri non pochi, come vedrassi in appresso.
Il piatto mortifero fu imbandito a tavola il venerdì sera alle 5 circa in occasione dell' ordinario pranzo. Undici persone ne mangiarono spettanti alla famiglia Brunetta. Pochi pezzi di sopravanzo furono dalla cuoca dati alla moglie del giardiniere, onde farle vedere, che esso aveva torto nel condannare tali funghi. La giardiniera li mangiò.
Il pristinaio di Scalenghe, Suita Bernardino, che aveva in quel giorno portato il pane alla famiglia Brunetta, prese alcuni di quei funghi, che la cuoca gli rimise, ed anche egli assicurava ch'erano di buona qualità.
Se li portò a casa, e li diede alla moglie affinchè fossero cucinati. Quindi tutti e due ne mangiarono.
Quali dolorose conseguenze ne siano poi venute, si raccoglierà di leggieri
dalla seguente narrazione fatta con lettera dal dottore Michele Fornelli, esercente in Scalenghe.
« Circa ad un'ora dopo la mezzanotte del venerdì al sabato la signora contessa per la prima , incominciò a provare un senso di malessere , dolori di ventre, nausea ed oppressione al petto, alle quattro del mattino poi tutti provarono i suddetti sintomi, e si aggiunsero crampi dolorosi alle gambe, e freddo ai piedi.
Vennero in seguito i vomiti in prima asciutti e poscia contenenti i funghi micidiali, quindi di sughi gastrici e di materia biliare. Sussegui poscia profusa diarrea.
A tale stato di cose non ripararono da principio che con granelli omeopatici, che si suppone contenessero estratto di noce vomica, e di aconito.
« Alle 6 della sera del giorno 29 (sabato) si mandò per me che accorsi immediatamente sul luogo del disastro, e ritrovai i suddetti individui nel seguente stato :
«Faccia grandemente abbattuta, e contraffatta, occhi profondamente incavati nell'orbita circondati da un cercine plumbeo: lingua umida un poco rossa ai bordi, o fecciosa : labbra alquanto livide: fornito e diarrea di materie biancastre simili alla decozione di risa; qualche volta vomiti di materia biliare verdastra, e diarrea talvolta anche di muco nerastro, contenente strie sanguinolente.
Grande si era in tutti l'abbattimento morale: inestinguibile la sete, continuo il bruciore delle fauci, e tutti indistintamente augnavano d'un senso d'oppressione, di peso e di dolore insopportabile all'epigastrio, in alcuni si manifestarono talvolta dolori di ventre, in altri tacevano affatto: in altri ora tacevano, ora insorgevano, ma in tutti si presentavano il freddo alle estremità, ed un poco dì cianosi, non che convellimenti spasmodici alle estremità inferiori.
Il dottor Fornelli non ommise mezzo alcuno, onde dar sollievo alli sciagurati; chiamò subito l'aiuto di colleghi : quindi accorsero sul luogo il dottor Michele Fornace di Piscina, il padre, e il figlio, dottori Porro da Pinerolo, il dottor Bertolotti Giacomo da Torino.
Ma ahi ! per alcuni degli avvelenati era troppo tardi ! ! La natura del veleno, il quale tal fiata subdolo s'insinua nell' economia animale rendendo così meno efficaci i soccorsi terapeutici, quando si palesano i fenomeni di avvelenamento; l'indugio che ebbe luogo nel chiamare il soccorso dell'arte medica a cagione della confidenza che si aveva nei granelli omeopatici, furono le precipue cause, per cui lo sventurato, e compianto colonnello Brunetta, che a Saluzzo
si trovava per i suoi doveri militari, tranquillo per le buone notizie di salute della famiglia , che aveva avute poco tempo prima dell'infausto avvenimento, pur troppo ebbe, ed ha per tali ragioni a piangere sulla tomba de' suoi più cari !
Mori alle 5 pomeridiane di domenica (30 settembre) il ragazzo Brunetta Federico (età 9 anni).
Nel lunedi successivo (1° ottobre) morirono Fiorenza Maria cuoca (età 43 anni);
La contessa Teresa Brunetta nata Renaudi (40 anni);
Renaudi Carlotta nata Pagan, madre della contessa (età 71 anni);
Suita Bernardino pristinaio (età 24 anni);
Morirono nel martedì (2 ottobre) :
Brunetta Leopardo (5 anni);
Germinato Catterina moglie del giardiniere (43 anni);
Ambirli Maddalena cameriera (33 anni) ;
Demaria Andrea cocchiere (35 anni).
La moglie del pristinaio, che fortunatamente aveva mangiata molta polenta con latte nello stesso pasto , in cui aveva mangiato i funghi si salvò, sia perchè si debba ciò attribuire a che ne avesse mangiato in minor quantità , sia perchè involti i funghi dalla polenta, e temperata la loro azione dal latte, non abbiano potuto produrre cosi intensamente come negli altri individui il malefico loro effetto. Non fu però scevra da alcuni gravi sconcerti, che durarono lungo tempo.
Due gatti del pristinaio , che leccarono i piatti, in cui furono mangiati i funghi,
morirono alcune ore dopo.
Quattro altri individui dovettero lungamente lottare contro il malaugurato cibo. Sono due figli del conte, uno di 15, l'altro di 12 anni , la di luì sorella di 28 anni ,
e la cameriera che aveva 24 anni circa.
Tutti quattro arrivarono poi a scampamento in seguito a speciale diligente cura.
I funghi mangiali, per quanto risultò dalle informazioni, che io presi sul luogo, dove mi recai in seguito ad invito del Presidente del Consiglio Superiore di sanità, e da quelli, che feci raccogliere nello stesso sito , ove furono trovali i primi, causa di tanti mali, appartenevano alla specie agarico , e predominavano quelli , che sono indicali col nome di agarico pagliarino (agaricus sulphureus), e di agarico micidiale (agaricus necalorj).
Mentre mi riserbo di dare all'occorrenza più ampio svolgimento a questa dispiacevole narrazione, reputo abbastanza eloquente per se stesso il malavvenuto fatto per servire di avviso a chiunque faccia uso nella sua mensa di funghi, insidiosi prodotti del regno vegetale, e non infrequenti cagioni di disordini vitali, quando ut lo son di morte.
Noterò soltanto, che negli individui salvati furono di gran sollievo gli emollienti, ed oleosi si interni, che esterni. L'olio di olivo, l'olio di mandorle dolci, le bevande mucilaginose, i cataplasmi ammollitivi , e simili mezzi terapeutici furono quelli che evidentemente recarono giovamento agli ammalali.
L'autopsia poi fatta su quattro dei nove cadaveri presentò nell' apparato gastro-enterico tali segni di estesissima flogosi-gangrenosa, che non lasciano alcun dubbio sul malefico modo di agire dei funghi velenosi, che quello è di superlativa irritazione, per cui ne consegue tosto la fatale gangrena."
Livio Amparore